Human Rights Youth Organization

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Pratiche meditative e di rilassamento psicofisico, considerazioni teoriche e discussioni in gruppo sulla conoscenza delle differenze di genere e sulla violenza, sostegno psicologico e attività educative non formali, sono queste alcune delle tecniche di allenamento e consolidamento della consapevolezza mentale che in questi mesi l’organizzazione Liberation Prison Project Italia sta implementando presso la II Casa di Reclusione di Milano Bollate. Si tratta in particolare di un piano di attività realizzate nell’ambito del progetto Sound Escape che, utilizzando protocolli Mindfulness oriented integrati a tecniche della psicologia occidentale, hanno lo scopo di intervenire sul contrasto alla violenza contro le donne.

Attraverso questo approfondimento cercheremo di comprendere quali sono le caratteristiche dell’approccio Mindfulness e perché utilizzarlo in un contesto come quello carcerario.

Mindfulness significa portare attenzione al momento presente in modo curioso e non giudicante (secondo la definizione che diede il biologo statunitense Kabat-Zinn, nel 1994). Si tratta quindi di un processo che coltiva la capacità di portare attenzione al momento presente, consapevolezza e accettazione del momento attuale. Gli elementi costitutivi dell’approccio Mindfulness, che emergono dalle definizioni riportate sopra (consapevolezza e attenzione), evidenziano quale sia la finalità della pratica Mindfulness, e quindi la sua tensione etica: l’obiettivo è quello di eliminare la sofferenza inutile, coltivando una comprensione e accettazione profonda di qualunque cosa accada attraverso un lavoro attivo con i propri stati mentali. Secondo la tradizione originaria, la pratica della Mindfulness dovrebbe permettere di passare da uno stato di disequilibrio e sofferenza ad uno di maggiore percezione soggettiva di benessere, grazie ad una conoscenza profonda degli stati e dei processi mentali.

Le origini non sono riconducibili ad un contesto geografico e temporale preciso, poiché sono rintracciabili, seppure con nomi diversi, in un ampio territorio compreso tra la Cina e la Grecia, in un periodo compreso tra 2800 e 2200 anni fa. Dal monoteismo di Zarathustra in Persia fino al Buddhismo in India, dal Confucianesimo e dal Taoismo in Cina fino alla filosofia greca sono tutte tradizioni che hanno contribuito a mettere a fuoco questa “pausa di libertà”, questo “respiro profondo che porta con sé una consapevolezza estremamente lucida”, in una parola, ciò che oggi in Occidente va sotto il nome di mindfulness. La dottrina e la pratica meditativa buddista costituiscono probabilmente la tradizione che più di tutte incarna ed esplicita il tema della consapevolezza. Gli insegnamenti di Buddha, che vanno sotto il nome di Dharma, indicano i fattori mentali che consentono all’individuo di cogliere l’essenza e la natura di ciascuna esperienza: l’aspirazione, la fiducia, l’attenzione, la discriminazione e, naturalmente, la consapevolezza.

Allora ecco perché è molto importante l’attenzione quando parliamo di riduzione dell’aggressività, della conflittualità e dell’impulsività: non è possibile rivolgere gentilezza a qualcosa verso la quale siamo disattenti. E questo è vero sia per ciò che è dentro di noi, come le emozioni e i pensieri, sia per ciò che è fuori da noi, gli altri, con i loro pensieri e le loro emozioni.

Nella vita quotidiana, per la maggior parte del tempo, l’individuo tende a funzionare con una modalità che può essere definita “pilota automatico”. Ovvero mette in atto comportamenti meccanici e reattivi in cui la mente è per la maggior parte del tempo passiva e si lascia catturare da pensieri, ricordi, sentimenti; è una mente vaga. Il funzionamento automatico non è di per sé qualcosa di negativo, ma quando diventa una modalità rigida e pervasiva di reazione, e non di risposta, finisce inevitabilmente con il ridurre le nostre possibilità di felicità. La modalità del pilota automatico può anche predisporre a comportamenti aggressivi e impulsivi.

La ricerca scientifica ha dimostrato l’efficacia delle pratiche di Mindfulness nell’incrementare le funzioni attentive, l’equilibrio emotivo, la capacità di sintonizzazione con gli altri e l’empatia. Gli studi suggeriscono che, alla base di questi benefici, possa essere coinvolto un miglioramento delle funzioni integrative della corteccia prefrontale. La spiegazione di alcuni grandi neuro-scienziati che studiano gli effetti della meditazione, come Daniel J. Siegel, è che la corteccia prefrontale sia una sorta di territorio neurale comune ai processi di sintonizzazione con se stessi e di sintonizzazione con l’altro, e che questi due processi si influenzino a vicenda.

La mente umana è intrinsecamente relazionale. È oggi ampiamente condiviso dalla comunità scientifica che il benessere generale della persona sia, in larga parte, derivante e costruito nel contesto relazionale. Altrettanto condiviso è il fatto che ci sia una forte correlazione, sia a livello comportamentale che a livello neuronale, tra sintonizzazione intra-personale ed etero-personale. Ovvero, soggetti cresciuti in un contesto relazionale rassicurante e sensibile è altamente probabile che siano maggiormente in grado, rispetto a soggetti cresciuti in contesti meno responsivi, di sintonizzarsi con se stessi e trovare un equilibrio con le proprie emozioni e i propri pensieri e di ascoltare con serenità i propri feed-back corporei.

Questo è ciò che potemmo definire una relazione sicura, intima, con se stessi. A loro volta, tali soggetti, tenderanno a vivere le relazioni successive con maggiore sicurezza e intimità, andando così a instaurare una sorta di circolo virtuoso tra relazione con l’altro e con sé. Nello stesso modo la Mindfulness può essere intesa come uno strumento in grado di promuovere una relazione sicura con se stessi: grazie alla sua capacità di promuovere le funzioni integrative della corteccia prefrontale, infatti, lavora in modo altamente benefico su processi di regolazione corporea, di stabilità emotiva, di flessibilità di risposta e di azione morale. Tutto ciò facilita l’incontro con l’altro, riducendo comportamenti inutilmente aggressivi e caratterizzati da conflittualità non costruttiva.

Che effetti ha la Mindfulness sull’aggressività?

Non stupisce quindi che le pratiche di Mindfulness abbiano dimostrato effetti positivi nel ridurre l’ostilità, la rabbia e l’attitudine all’aggressività fisica e psicologica.

Anche l’impulsività può essere ridotta dalle pratiche di consapevolezza, grazie all’efficacia nel miglioramento delle funzioni attentive esecutive, quelle componenti dell’attenzione che ci permettono di agire in modo consapevole e che svolgono una funzione di controllo. In questo modo è possibile arrivare all’interruzione dei pattern di funzionamento automatico, e spesso aggressivo o autodistruttivo, che possono intervenire a livello comportamentale, emotivo e di pensiero. La Mindfulness permette di sostituire il puro reagire agli eventi stressanti con la capacità di rispondere a essi. Inoltre, la meditazione si è rivelata uno strumento efficace nel promuovere il benessere in un ampia gamma di problematiche legate allo stress come ansiadepressionedolore cronico e nell’incrementare le difese immunitarie. Grazie al suo effetto di riduzione dello stress, sembra essere uno strumento efficace in grado di incrementare il potenziale curativo di varie terapie.

 

Sound Escape è un progetto di contrasto alla violenza sulle donne sostenuto Dipartimento Pari Opportunità – Presidenza del Consiglio dei Ministri, linea di intervento Programmi di trattamento degli uomini maltrattanti, e sviluppato dall’organizzazione HRYO – Human Rights Youth Organization in collaborazione con Maghweb e Liberation Prison Project Italia.[:]